Il bagno penale della Guyana francese.

Cenni storici

In Francia i bagni penali coloniali come “terre della grande punizione” vengono creati dalla legge di Napoleone III del 30 marzo1854, anche se le partenze per Cayenna erano iniziate due anni prima, con i decreti dell’8 dicembre 1851 e del marzo 1852. In realtà i trasporti dei condannati oltremare avevano visto la luce molto presto, addirittura nel XVIII secolo, ed avevano sempre avuto due scopi principali: popolare le colonie ed utilizzare la mano d’opera penale per i lavori di pubblica utilità, sbarazzandosi di persone indesiderabili in patria.

La legge del 30 marzo 1854 istituisce quindi ufficialmente la “transportation” dei condannati ai lavori forzati fuori dalla Francia e nel suo articolo 6 il cosiddetto “doublage”, ovvero l’obbligo, una volta scontata la pena, di risiedere un tempo identico alla condanna sul suolo guyanese se la pena era pari o inferiore ai sette anni o a vita se la pena superava gli otto anni. Le difficoltà a trovare un lavoro erano tali per cui si diceva che “il bagno inizia con la liberazione”, infatti i forzati, messi in libertà in territorio guyanese, finivano con l’errare senza risorse e con il ritrovarsi in una situazione simile o peggiore della precedente.
Dal 1852 al 1867 la storia del bagno è caotica, i vari campi di lavoro fioriscono un po’ dappertutto sul territorio d’oltremare, ed è proprio nel 1867 che l’alto tasso di mortalità costringe il legislatore a chiudere il bagno di Cayenna, che verrà però riaperto nel 1887, anno dal quale funzionerà senza interruzione fino al 1938.
L’altra legge fondamentale per la storia del bagno penale della Guyana è quella della “relégation” del 27 maggio 1885, una legge definita una delle più scellerate della Terza Repubblica, che stabiliva l’invio a Cayenna dei recidivi, cioè dei colpevoli di piccoli delitti che nell’arco di dieci anni incorrevano per due volte in condanne che prevedevano l’incarcerazione.
 

Prima di raggiungere la Guyana, i forzati erano trasferiti dai loro luoghi di detenzione all’Isola Ré, di fronte a La Rochelle, nella Francia nord- occidentale, dove aspettavano la data di partenza della nave che doveva trasportarli oltre oceano, la tristemente famosa “Martinière”, un ex mercantile tedesco che dopo la prima guerra mondiale era stato adibito al trasporto dei condannati e che ad ogni viaggio trasportava circa seicentottanta forzati, ammassati nella stiva divisa in gabbioni.
Il viaggio, che durava circa tre settimane, avveniva in condizioni igieniche insostenibili, il cibo era pessimo e scarso, sovente scoppiavano risse all’interno delle gabbie e per i prigionieri vi era solo mezzora d’aria ogni mattina, quando venivano allineati sul ponte mentre i marinai lavavano la stiva con secchi d’acqua; quando si sentiva la nave rallentare o arrestarsi per poi riprendere velocità era segno che era appena stato abbandonato in mare il corpo di un prigioniero che aveva già terminato la sua condanna.
Il viaggio si concludeva in Guyana con l’arrivo al Camp de transportation di Saint Laurent du Maroni, cittadina posta di fronte ad Albina, capitale della Guyana olandese, vera sede del bagno penale a partire dal 1858, anche se nel parlare comune il simbolo del bagno è sempre stata erroneamente Cayenna, punto nevralgico del penitenziario solo per un brevissimo periodo e sul finire del XVIII secolo.
Una volta sbarcati a Saint Laurent, i forzati venivano sottoposi a visita medica e veniva assegnata loro la divisa, consistente in un cappello di paglia, un camiciotto e i famosi pantaloni di tela a righe bianche e rosse, oltre naturalmente al numero di matricola, che da quel momento li avrebbe identificati. Tra i forzati si distinguevano i transportés, ovvero i condannati ai lavori forzati, i déportés, ossia i condannati per reati politici, tra i quali il più celebre fu sicuramente Alfred Dreyfus, e a partire dal 1885 i relégués, i recidivi, disprezzati da tutti gli altri condannati e anche dai sorveglianti, individui che avevano già interamente scontato in Francia la loro pena, ma che la società francese aveva deciso di eliminare, inviandoli in Guyana per una pena supplementare.
 

A seconda della categoria di appartenenza i forzati venivano poi assegnati ai vari campi di lavoro disseminati sul territorio guyanese, dove le condizioni di vita erano deplorabili e dove le malattie e i parassiti insieme alle condizioni di lavoro, allo scarso nutrimento e alle sevizie contribuirono ad eliminare gran parte dei 70.000 condannati che furono inviati nella colonia penale.
L’unica speranza di sopravvivere, in un luogo in cui la vita media di un forzato era di circa cinque anni, era l’evasione; e per evadere vi erano solo tre vie: la foresta, il mare ed il fiume Maroni, che segnava il confine tra la Guyana francese e quella olandese.
Avventurarsi nella foresta era un’impresa pericolosa, in quanto la foresta equatoriale della Guyana era popolata da animali pericolosi e da zanzare di ogni genere, spesso si incontravano acquitrini che fermavano la fuga ed era praticamente impossibile orientarsi, senza contare che la frontiera più vicina, cioè quella del Brasile, si trovava e parecchie centinaia di chilometri; praticamente tutte le evasioni tentate per questa via finivano con la morte degli evasi o con la loro cattura da parte delle popolazioni locali, che li riconsegnavano all’amministrazione penitenziaria.
Attraverso il fiume Maroni la fuga era più facile, ma il governo francese aveva concluso un accordo con la vicina Guyana olandese e gli evasi erano rapidamente riportati a Saint Laurent dalle autorità del paese limitrofo.
La terza via, il mare, era quella che offriva maggiori probabilità di successo, a condizione di approdare sulle coste del Venezuela, della Colombia o del Brasile, visto che gli altri paesi riconsegnavano gli evasi alla Francia; tali evasioni, inoltre, avvenivano con la compiacenza dei sorveglianti corrotti e spesso con l’aiuto degli abitanti locali che dietro ricompensa in denaro favorivano la partenza dei disperati.
I forzati evasi e nuovamente catturati venivano giudicati dal Tribunale Marittimo Speciale, organo creato nel 1889, atto a giudicare tutti gli atti delittuosi compiuti dai condannati, che pronunciava immancabilmente tre pene: la carcerazione, la reclusione in cella e la pena di morte.

La carcerazione avveniva sull’Isola San Giuseppe, per un periodo dai sei mesi ai sei anni ed il condannato era costretto al silenzio, al lavoro e di notte veniva rinchiuso in una cella.
La reclusione in cella avveniva ugualmente all’Isola San Giuseppe, per un periodo dai cinque mesi ai cinque anni, durante il quale vigeva l’isolamento più completo dentro celle scavate nel terreno che avevano come soffitto delle grate dalle quali passavano aria e luce, quest’ultima negata ai più recalcitranti, che scontavano la punizione nella più totale oscurità.
La pena di morte veniva applicata con la ghigliottina.

È negli anni trenta che questo sistema inizia ad essere criticato ed attaccato dall’opinione pubblica mondiale, soprattutto dagli Usa, dopo una campagna stampa particolarmente efficace di Albert Londres, reporter del giornale Le Petit Parisien, che nel suo reportage “I forzati della Guyana”, poi diventato un libro, denuncia le inumane condizioni di vita della colonia penale e scrive una lettera aperta all’allora Ministro delle Colonie Albert Serraut, chiedendo essenzialmente quattro provvedimenti: la selezione dei condannati da inviare in Guyana, visto che è inumano che non passi “nessuna differenza tra chi è alla prima condanna e l’incallito avanzo di galera”; la preservazione dei deportati dalle malattie, attraverso un migliore nutrimento, calzature adeguate e vaccini obbligatori; la retribuzione del lavoro; la soppressione del doublage.
La messa sotto accusa di questo sistema carcerario odioso e retrogrado fece sì che il potere politico rappresentato dal deputato della Guyana Gaston Monerville si adoperò per la soppressione di questa istituzione, finché il 17 giugno 1938 il presidente della Repubblica Albert Lebrun firmò un decreto legge che mise fine alla pena dei lavori forzati nelle colonie.
La seconda guerra mondiale ne impedì l’applicazione nell’immediato, ma dal 1944 il generale De Gaulle incaricò un emissario della chiusura del bagno penale. Il primo agosto 1953 gli ultimi testimoni, condannati e sorveglianti, rientrarono in Francia: un secolo dopo i primi tranportés, il bagno era definitivamente morto.